Don Saulo Capellari

Giovani, Oggi

“Dateci degli eroi” gridava alla radio, l’altro giorno, una ragazza infatuata di Rambo. Rambo. L’americano famoso. Conosciuto in tutto il mondo.
Che cosa ha fatto? Che cosa ha inventato? Può fare tutte le parti. Può tenere tutti i posti. È ineguagliabile, invincibile, perfetto.
Ormai gli americani considerano Rambo gloria della nazione. Con il film ha la consacrazione del trionfo. Ma specialmente le ragazze lo acclamano e ne fanno un dio. Non bisogna evidentemente generalizzare.
Mentre scrivo, altri giovani, migliaia e migliaia da ogni parte d’Italia e del mondo, si incontrano mossi da una forza interiore che potrebbe diventare l’anima del mondo. Ma è certamente difficile capire i giovani d’oggi. Gli antichi li avrebbero chiamati “aporeici”. Ossia in contraddizione.

Quale contraddizione?

Sono sempre alla ricerca del diverso, del nuovo. E intanto rimangono monotoni nelle loro manifestazioni. Entro nella camera di un ragazzo. I vetri delle finestre sono costellati di adesivi pubblicitari: marche di sci, di scarponi, di racchette, di una birra verdissima. È il mondo consumistico, tanto criticato.
Su una parete c’è la mostra di tutte le ideologie. Un poster con un soldato che lascia cadere un fucile, e la scritta: Perché?
Ho visto la stanza di una ragazzetta. Ho dovuto concentrarmi un attimo per colmare l’enorme distanza che mi faceva trovare improvvisamente come in un’isola sconosciuta. Lungo le pareti correvano scritte cristiano-social-sandiniste. E poi poster di tutte le specie, con cani, gatti, col ritratto di amiche impossibili. Il tavolino… (oh la mia vecchia fissazione “un bel libro su un bel tavolino!”) un asse su due cavalletti. Libri, veramente… pochi. Molte cassette, con un impianto stereo da due milioni, sempre acceso.
Mi son permesso di far notare che la musica, usata con sonorità eccessive, o continuamente come sottofondo, danneggia la capacità intellettuale di seguire un discorso.
Quale ingenuità! Che motivo c’è di seguire un discorso quando si è già culturalmente colonizzati? Non ho la fantasia di un sociologo per capire questa inconscia filosofia, questa conciliazione degli opposti. Questi giovani, che non hanno grandi interessi culturali (piace loro, ad esempio, la musica quanto più è industriale e sofisticata) per farsi giudicare liberi e spregiudicati, si schierano con chi contesta.
Mai come oggi parlano di povertà e di terzo mondo, e intanto imitano mode e gusti che vengono da nazioni con uno standard di vita più elevato.
Mai come oggi abbiamo avuto una generazione di sedentari. Tutti i muretti sono loro. Hanno bisogno di stare o di spostarsi in gruppo, come gli uccelli che migrano uniti per affrontare i rischi del cielo. Ma diffidano delle forme organizzate. Si pongono in difesa, unendo le debolezze comuni e andando fuori dalla famiglia e dall’ambiente che li può facilmente conoscere e giudicare.
I giovani d’oggi sono fatti di queste contraddizioni. Gli psicologi più cialtroni mettono avanti una giustificazione sociologica: le colpe sono della società.
A me pare che questi atteggiamenti siano dovuti alla psicologia tipica dell’età. Il mondo incomincia da loro. Incontri impreveduti. Amori nati a caso. Non si fermano e non si ricordano. Compatiscono i genitori. Bello e brutto, buono e cattivo, sono per loro parole senza significato.
La protesta giovanile del ’68 e dell’85 non ottenne un mutamento sociale in sé e per sé. Perché?
Perché i giovani hanno determinati istinti e desideri che vengono soddisfatti a un certo livello e per un certo periodo della vita. Poi, in quanto superati vengono messi da parte.

Ai miei tempi

Non voglio dire affatto che i giovani d’oggi siano peggiori di quelli di una volta. Questa affermazione sarebbe un’idiozia. Chi a scuola deve leggere quel noioso di Quintiliano, sa che i giovani di quei tempi si comportavano più o meno come quelli di oggi.

Noi studiavamo di più. Ma chi lo dice? Le più belle ore di scuola erano quando sapevamo che il professore era fermo alla stazione per aver perduto il treno. E quando contava barzellette invernali a quelli del primo banco, che diceva “tutti giovani destinati a un brillante avvenire”, noi, dell’ultimo banco, si sghignazzava e si urlava così forte da contagiare quelli delle classi vicine, mentre il preside furibondo, a sua volta tuonava “ai miei tempi…”.
Trovo che nelle relazioni personali tra ragazze e ragazzi c’è più amicizia di un tempo.

Quando pure traviano, quando pure sono corrotti, sentono dov’è il male e dov’è il bene. Molte volte il male che fanno dipende da ribellione.
Visetto ovale, capelli corti, occhi e labbra dipinte, svelta e snella Rosy torna a casa tardi. La mamma: dove sei stata? Alla conferenza, risponde. Ma viene invece dalla casa di Gianfranco. Il giovane che l’estate scorsa al mare era conteso da tutte. Il padre la chiama “la mia piccina”. La madre la considera una bambola da vestire e pettinare ancora. I parenti credono di poter discorrere con lei come con una bambina. E Rosy, a sedici anni, disprezza quella gente presuntuosa e sciocca.

Le contraddizioni degli adulti

Noi abbiamo “il dono” di avere le idee chiare, loro no. Noi siamo essenzialmente stabili. Cosa significa? Vuol dire che si è riusciti a fare ordine, che si è capaci di funzionare, che non c’è più nulla di nuovo, da sentire, da cercare, da scoprire. Un adulto lavora da sé e per sé. Un giovane con tutti e per tutti. In ogni mestiere, in ogni professione, la loro parte è la più dura.

Dove c’è un sacrificio da compiere o una fatica da sopportare, c’è un giovane. Una questione data alla decisione di un giovane è quasi sempre risolta con onestà. L’adulto cerca il compromesso. Alessandra mi chiede un consiglio. Glielo do. Mi dice: no. E mi butta in faccia un parere contrario. Stimolo Mauro al lavoro.

“Per quello che mi pagano” ribatte.
“Ben gli sta”, dice del ministro che ha dovuto dare le dimissioni. “È nato bestia e bestia morirà”.
Suo padre che lo ammirava, oggi quasi lo teme.

Ogni epoca ha la sua caratteristica. La nostra, quella di essere divisa tra giovani e vecchi. Accettiamola così. Rambo. L’americano famoso. Fra dieci anni sorriderete di compatimento a questa follia e vedrete, naturalmente, altri giovani che avranno un altro genere di pazzia. Ma contesteranno a oltranza che la vita è soltanto gioventù. Mentre, di tutte le età della vita, la più breve è la giovinezza.

Spendere, Comprare, Consumare

Crisi o non crisi, per i nostri ragazzi, oggi, spendere è facile. Si calcola che tra i 14 e i 25 anni essi dispongano di quasi mille miliardi all’anno per i loro consumi (dischi, motori, cinema, riviste, vestiti, sigarette…).
Il giovane vuole affermare la sua autonomia, fondandola sulla appariscenza gratificante del consumo. Con una moto, un giovane si sente “qualcuno”.
La ” moda ” – nel senso di rifiuto del tradizionale – è un aspetto caratteristico della corsa al consumo, a cui si accompagna l’imitazione succube dei modelli socialmente rilevanti (il divo, il leader). L’identificazione-simpatia con il modello sta a manifestare il desiderio e l’aspirazione di raggiungere un certo livello di realizzazione personale. Quando un giovane spende, non compra soltanto oggetti, ma anche l’immagine ideale di se stesso. Non si vendono blue-jeans, ma contestazione.
Prestigio, forza, ricchezza, giovinezza, bellezza, anticonformismo vengono molto astutamente introdotti nei prodotti che il mercato offre in abbondanza al giovane consumatore di oggi.
Se la strada per “essere” e per realizzarsi in autenticità è fatta di fatica e di impegno, di coraggio e pazienza, di volontà e sacrificio, la scorciatoia dell’avere è molto più facile. Basta “comperare” (naturalmente con i soldi di papà).
Il giovane misura il suo valore da ciò che ha e che consuma. Se non “consumi” certi beni, ti senti un verme di fronte agli amici. Questo atteggiamento è stato definito “uomo-a-una-dimensione”, che ha come unico ideale l’avere.
Conseguenze: concezione materialistica e superficiale della vita: insensibilità ai valori spirituali; arrivismo fatto di competitività e violenza; ricerca del guadagno facile e svalutazione del lavoro.
La società dei consumi (anche se non ha impliciti elementi positivi) rischia di consumare l’uomo.
Il momento educativo, in una società dei consumi, si preoccupa di abituare il giovane a individuare con senso critico i meccanismi di condizionamento di tutta la pubblicità, e della logica disumanizzazione del profitto.
Ma vuol andare oltre, nel proporre un progetto-uomo basato su valori più densi: la giustizia e la solidarietà, la libertà, l’impegno religioso.
Il Vangelo è liberazione della persona dalla idolatria delle cose, in vista della comunione con Dio e i fratelli.