Un maestro e un amico vero

Ci ha lasciato in forma discreta quasi in consonanza col suo stile di vita, a 89 anni di età. Di fronte a un vuoto difficilmente colmabile, rimane la mesta certezza di aver perduto un maestro e un amico vero.

Con rispetto e riconoscenza ricordiamo quello che è stato per noi, quello che continuiamo a ritrovare nell’eco delle sue parole, dei suoi gesti. E non in altri. Mentre colleghiamo nella memoria pensieri, frammenti di vita. Ciascuno con personale simpatia.
Molti per giungere all’estremo saluto fecero un lungo viaggio.
Tutti lo onoravano spontaneamente portando alla sua bara la loro commozione e la loro fede. Ognuno come un figlio il padre suo.
E in quella giornata di Agosto, luminosa e calda, si levò quel “requiem” ch’egli desiderava.
Pura risonanza del suo animo: ” Exaudi orationem meam “, che io non debba arrossire dinanzi ai miei discepoli quando dovrò render ragione all’ultimo Giudice.

Furono tempi seri quelli di don Agagliate direttore e preside. Senza ombra di facili indulgenze.
Furono tempi buoni, vissuti con purezza di cuore e con le esperienze più dure.
Nelle cose che si dovevano fare c’era il rifiuto a ogni compatimento.
In una frase bruscamente scambiata con il linguaggio più secco e immediato, il direttore misurava il valore di una persona.
Sulla porta della sua scuola stavano scritte, come sul frontone di un tempio, le parole oggi disusate: “Studio, volontà, virtù. I pigri non entreranno”.
Ma c’era il suo esempio. Esempio che era di impegno tecnico e pratico, ma soprattutto morale.
Nella coscienza della sua missione di maestro, consisteva il valore morale del suo insegnamento.
Ma non sdegnava neppure, al di là della cattedra, il discorso sobriamente arguto e ironico, con momenti di raccolta tenerezza.
Chi non ha sperimentato la sua accoglienza austera ma paterna? Quando, visibilmente felice, piegava verso la confidenza, posando la sua mano sulla spalla di un antico allievo, cercando nei suoi occhi quella sua anima di allora.
Sappiamo che la sua prima fanciullezza si svolse piamente nella natia Capriglio, paese monferrino un po’ deserto. E doveva fare un buon tratto di strada per andare alla messa e a scuola.
Subito la sua adolescenza fu piena di studio e di serenità, nei collegi salesiani di Castelnuovo e di Penango, dove ebbe modo di soddisfare la curiosità dei fanciulli venuti dalla campagna.
La sua formazione continuò con i nomi più belli della vita salesiana, di una dimensione umana oggi in parte oscurata e travolta.
Decise di lavorare con don Bosco e completò la sua personalità col sacerdozio e con la laurea in Scienze Agrarie.
Provvisto di questa formazione religiosa e culturale, entrò nella via attiva.
E un mattino del 1940 don Agagliate approdò a Lombriasco.
La Casa iniziava coraggiosamente, tra il respiro del fiume e gli orti coerenti, l’Istituto Tecnico Agrario.

L’essere cresciuto al vivere ordinato, col ricordo degli uomini di campagna e delle usanze antiche, fu un aiuto per don Agagliate, a capire la sua vocazione all’insegnamento dell’agricoltura.
Ne sentì il valore non solo come esperienza economica, ma come espressione di una civiltà superiore, ossia il più grande sistema di ordine della terra.
Per le sue competenze fu aggregato all’Accademia dell’Agricoltura, ricevette un riconoscimento speciale dalla Federazione delle Scuole Cattoliche, e fu insignito dell’onorificenza di Cavaliere Ufficiale della Repubblica.
Ma non diede mai importanza a questi onori, e dedicò invece non lieve parte del suo tempo al ministero sacerdotale in Parrocchia.
Consapevole dei superiori disegni che Dio traccia ai semplici e ai puri di cuore, custodiva il rispetto dei valori tradizionali, senza illusioni né misticismi.

Nella sera della vita, senza più speranze terrestri, sentiva avvicinarsi la pace di Dio, ma lo spirito rimaneva pienamente presente e vigilante. Fino a quando la sofferenza degli ultimi giorni cadde sulle sue spalle ormai stanche.
Se è vero che un uomo non tanto insegna quello che sa, quanto quello che è, l’insegnamento di don Agagliate non poteva essere maggiore, perché egli insegnava prima di tutto con la lezione della vita, che con quella della cattedra.
Mai vittima di quel male moderno dei nuovi maestri, che è il protagonismo.
Mentre noi salesiani riconosciamo l’immagine di don Agagliate, che si ritrova nella tradizione aperta della nostra Casa, gli ex-allievi continuino ancora a sentire e a seguire la sua voce. Oltre la morte.

Saulo Capellari